Area Creativa su Tiscali racconti sui miei figli

Appunti di vita.

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25/4/04
H. San Raffaele – ore 21,20

Non ho molta voglia di ridere ma lei si sente spiritosa e deve scherzare per forza con mio figlio William, in fondo dovrà pur farsi passare il tempo o, forse, sono solo molto stanca ed arrabbiata per questa lunga e brutta giornata e lei è davvero molto gentile ed accoglie e accompagna gli ammalati con un po’ di spirito per risollevare i loro animi.
Sono in ospedale. Nel reparto radiologia per l’esattezza. Sottoterra. Di fianco a me c’è seduto Willy che muove le gambe di continuo e, finalmente, si è messo a tacere dopo un mio “Vuoi stare zitto?” all’ennesima domanda idiota.
Sono troppo arrabbiata con lui per continuare ad atteggiarmi da mamma preoccupata. La mia bocca è amara.
Lui gioca con il cellulare, lo vedo con la coda dell’occhio, e, nel silenzio, il rumore dei tastini è come un martello pneumatico.
Un vociare arriva da dietro una delle tante porte chiuse sul corridoio. Forse infermieri o medici che parlano di fatti loro.
Willy si è spostato, evidentemente innervosito dal mio scrivere a testa bassa e dal mio silenzio.
L’infermiera torna a prenderci, radunando tutti e tre i malcapitati, e ci riporta al piano superiore. La sala d’attesa del Pronto Soccorso, che fino a poco prima risultava con poche anime, si è riempita di gente. La sentiamo vociare dal corridoio interno. Mentre usciamo dall’ascensore mi dilungo eccessivamente a guardare, in modo preoccupato, un ragazzo circondato dai barellieri di un’ambulanza, sdraiato sulla lettiga. Guardo le scarpe ed ho un tuffo al cuore, come le Puma tipo calcetto di Federico ma scorgo i tacchetti ed i capelli biondi, cortissimi, intrisi di sangue non sono di mio figlio. Ritorno a respirare. Anche William ha avuto la stessa sensazione di gelo e paura.
Ora siamo di nuovo nella sala esterna, in mezzo ad almeno quaranta persone di tutti i generi. Willy riprende a lamentarsi. “Ho fame e mi fa male il polso” guardo d’istinto l’orologio: le 22,30. Quando fa così è peggio di un bimbo piccolo. Esce a curiosare un’ambulanza che ha lasciato una vecchietta messa male. Ha curato ogni movimento che gli ambulanzieri stavano facendo ed ora è di nuovo di fianco a me. Sbuffa.
Ha fame, ha male, è stanco… stiamo aspettando che l’ortopedico ci richiami per dirci cos’abbia il polso di Willy.

Stamattina, mentre stavo parcheggiando sotto l’ufficio, il cellulare squilla. “Buongiorno sono il prof. di educazione fisica di William, si è fatto male con una pallonata al polso… bla, bla...” dopo tanti “al lupo” di Willy ho deciso che stavolta si sarebbe tenuto il dolore e sarebbe rimasto a scuola. Negli ultimi tempi si è comportato male e non ho più voglia di assecondarlo. Brutta età l’adolescenza. Lui, poi, si trova esattamente davanti a quel bivio dove deve decidere che tipo di persona potrebbe diventare. Frequenta due generi di compagnie, quelle più “giocose” dove ancora si gioca a pallone e si và in gelateria a mangiare il gelato e quelle più “get down, molto yeah, tipi tosti” dove il divertimento è dato dalle prime sigarette (e anche altro) che lui pare rifiutare, il perizoma delle ragazzine sceme, andare per negozi… vabbè lasciamo perdere.

Tornata a casa, bella carica e predisposta negativamente per l’ennesima convocazione dalla scuola lo trovo con la “zampetta” sinistra gonfia e ritratta su se stesso. “Adriano (il nostro medico di famiglia) mi ha detto di andare al pronto soccorso”. Gli lancio un’occhiataccia, penso alle prossime tre o quattro ore tutte per noi in una sala di pronto soccorso e con una smorfia lo carico in auto e mi dirigo in ospedale.

Ci chiamano. Entriamo nella sala visite. Il dottorino ha la faccia acqua e sapone completamente ustionata dal sole. Sorride ed i suoi occhi diventano colore del cielo in agosto. Sembra un ragazzino di diciotto anni e ripenso a mio figlio grande: “Non hai nessuna frattura. Una forte contusione e quindi ho pensato di metterti un tutorino...” un tutorino? Che diavolo è? Mi chiedo guardando l’infermiere che sta preparando le garze gessate. Un gesso? diavolo ma parla come mangi! Adesso si chiama tutor? Oddio? quanto ve la tirate! Ridono e scherzano con William che se la chiacchiera parlando della gita che domani farà con la scuola a Genova… io sono in tensione. Ho approfittato di tutto il tempo che avevo a disposizione per fare un discorsone con il mio pargolo. Chissà se anche stavolta non servirà a nulla? Un rimedio lo dovrò trovare.

Risaliamo in auto. Non finisce di chiudere la portiera ed ecco che riparte “Ho sete, non hai acqua?” – “Com’è pesante questo gesso… proprio ora non ci voleva” – “Ma come mai non c’è acqua? Mi sembra d’avere il deserto in bocca…” Lo guardo e mi perdo nei suoi immensi occhi neri, la faccetta da bambino acneico che si trasforma in adolescente… scoppio a ridere in modo così rumoroso che mi salgono le lacrime agli occhi.
Mi è passata.
Facciamo le telefonate di rito per tranquillizzare il mondo e intanto ci dirigiamo a casa.
Sfamo il lupetto.
Mi preparo i pomodorini con la simmenthal e metto su la l’acqua per la pasta per Lele e Fede.
Lo convinco a prepararsi tutto l’occorrente per domani, chè alle sei siamo già in piedi. Lo bacio e va a nanna con gli occhioni pieni di sonno.

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