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Quando l’amore va…

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Avevo creduto che restare a casa, aspettando mia figlia, sarebbe stata una fase di grande relax. Mi ritrovo, invece, con le giornate sempre molto piene ed intense di attività finalizzate alla sua nascita, certo, ma anche collaterali. Molto sta agendo, questa “pausa” lavorativa, sul rapporto con i miei genitori che, malgrado si fosse rafforzato dalla mia separazione, poi divenuta divorzio, sono quasi obbligata a vedere ogni giorno. È un’obbligatorietà che mi piace, intendiamoci. Sentire la loro premura, il loro amore mi fa un grande effetto, emotivamente parlando. Certo è che così facendo ho preso coscienza dei miei veri e reali spazi, quali saranno anche dopo la nascita di Sara.
Già. Penso a qualche anno fa. Diversi per la verità.
Nel millenovecentonovanta è nato Willy.
Sono sicura sia stato un avvenimento diverso da quello che sto vivendo ora. E mi sento altrettanto sicura del fatto che, per lui, ho impegnato fortemente, ovvero giorno e notte, le mie forze, corroborata marginalmente da suo padre, seppure mai come desideravo nella mia mente di “poco più di ragazzetta” a ventiquattro anni. Per quattro anni pieni ed intensi tutta la mia vita è ruotata intorno a questo bambinetto, la famigliola in generale, senza desideri particolari di interessi personali, dimentica della mia autonomia, del mio temperamento, della mia indole, delle mie qualità individuali.
Poi un improvviso risveglio.
Dapprima un forte malessere fisico. Poi il bisogno di sentire di più l’affermazione di me stessa. Fino alla fuga. Al bisogno innato di ognuno di noi di ritrovare lo spazio unico ed indissolubile che si crea con noi stessi, con il bisogno di trovare il silenzio cadenzato dai rumori della vita, di sentire il proprio respiro mentre i pensieri scivolano veloci guardando il mondo e la vita degli altri. Fino a desiderare d’essere qualcun altro…
Non sto sostenendo ne che fosse giusto tantomeno che fosse sbagliato. Oggi vedo le cose in un modo leggermente differente e, forse, non agirei più nello stesso modo.
O forse no?
Certamente mi comprendo. E mi scuso, e mi perdono… un perdono che ha stentato ad arrivare per tantissimi anni. Sovrastato sempre da un forte senso d’orgoglio che, ineccepibile, speravo servisse a corazzarmi dalle ingiustizie e dalle amarezze che avevano bombardato la mia esistenza dalla nascita.
Allora, quando nacque Willy, volevo fortemente quel compito. Lo desideravo ma ho compreso solo dopo, malgrado i segnali d’allerta, che era un mio desiderio, una mia speranza che era arrivata per colmare vuoti di posizioni “gerarchiche” e di ruoli.
La mia indole mi ha portata ancora a “spingere” affinché determinate posizioni venissero affrontate. Ma al momento opportuno ho vacillato.
Sono stata titubante.
E allora il mio compagno ha preso la situazione in mano, convincendomi della bontà delle nostre scelte… o forse, ancora una volta, sono stata io a creare delle condizioni dove mi sono ritrovata, a posteriori, bandita?
Ho il tormento, se entro in questo vortice di pensieri.
Ieri sera, per la prima volta dacchè aspetto Sara, ho preso davvero percezione del coraggio che mi ci è voluto nell’intraprendere questo cammino.
Sì, coraggio.
Ho buttato all’aria la mia tanto auspicata libertà, il mio amore verso me stessa, l’esilarante sensazione di unicità e di poter decidere in qualsiasi momento, per ritrovarmi ad affrontare, ogni sera, probabilmente dei prossimi dieci, quindici anni (chi può dirlo) a tu per tu con questa mia figliola tanto desiderata e tanto amata già ancor prima di nascere…
Già?
Ed io?
Quando ho avuto la libertà sono scivolata nell’oblio della tracotanza. Non ho saputo tenermi stretta, ed in equilibrio, quella fortuna inaspettata che la vita aveva saputo offrirmi.
Non che prima non ci pensassi. Anzi.
Spesso ho vissuto fortissimi conflitti, concludendo che, tutto sommato, io ero e sono una persona con un unico filo conduttore vitale: il bisogno di sentirmi vincolata da affetti e amori che non siano, egoisticamente, solo il pensiero di me stessa.
Un figlio nuovo, a quarant’anni, mi avrebbe dato nuovamente un senso. Il sentirmi madre, compagna innamorata, coordinatrice simultanea di più creature a me affini, mi avrebbe aiutata a darmi coraggio ed a continuare a vivere sentendomi utile e imprescindibile dalla loro stessa vita.

Ma… è come un senso d’amarezza.
È come se avessi dovuto subire un lutto per intraprendere questa gioia.
È come se qualcosa dentro di me si fosse rotto…

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